Al  sig. Commissario alla Concorrenza

 

Al  sig. Commissario alle Politiche fiscali e Mercato unico

 

Al  sig. Commissario alla Sanità e diritti dei consumatori

 

Alla Commissione Petizioni presso il Parlamento Europeo

 

 

Rif.:  Petizione 234/2000 ritenuta ricevibile in data 31 agosto 2000.

 

 

INFLUENZA POLITICA ED EFFETTI  ECONOMICI DEL CARTELLO BANCARIO IN ITALIA

 

 Gianni Colangelo, nato e residente a Torre dei Passeri alla Piazza Plebiscito 3, in qualità di membro del direttivo nazionale dell’ADUSBEF e di presidente della Lega Anti Usura di Pescara

 

espone quanto segue

 

            Ciò che in Italia sta accadendo relativamente alle norme legislative che interessano il sistema bancario, il rispetto di esse, dei principi sanciti dal Trattato CEE, delle direttive CEE a  tutela dei consumatori, la risposta della Commissione  in data 30  novembre 2000 all’invito della Commissione Petizioni ci determinano ad indirizzare questo esposto - memoria che si compone di una breve relazione, di uno studio sui meccanismi bancari concernenti i rapporti di conto corrente ed i mutui, di una rassegna documentale a dimostrazione delle tesi esposte. Precisiamo che, mentre la nostra petizione verte sui meccanismi anatocistici, vietati dal nostro codice civile, frutto di una pratica di cartello e legittimatiti dal decreto legislativo 4 agosto 1999 n. 342/99 (D. Lgs 342/99) -da noi ritento in contrasto con l’art. 85 del  Trattato CEE- in questa sede intendiamo discutere anche la recente approvazione del decreto legge 29 dicembre 2000 n. 393 ed il caso “Banco posta”. Lo studio «Trasparenza, concorrenza e soglie usurarie: la tutela dell’utente bancario», menzionato sopra e che qui alleghiamo, non esamina quest’ultimo caso. Prima di procedere oltre desideriamo far presente che, nonostante gli argomenti di discussione siano squisitamente tecnici e le decisioni delle Istituzioni interessate dovranno vertere sull’applicazione di singole disposizioni normative, inevitabilmente ed indissolubilmente qui descriviamo una grave alterazione dei meccanismi democratici di genesi legislativa, solo momentaneamente  problema interno italiano.

 

Le violazioni delle norme sulla concorrenza che denunciamo

 

Le questioni che poniamo alla Vostra attenzione, perché riscontriamo una violazione agli art. 85 e 86 del Trattato CEE, sono tre.

                                  

-         Il decreto legislativo 4 agosto 1999 n. 342/99 (D. lgs 342/99)

-         decreto legge 29 dicembre 2000 n. 393 ( d. l. 393/2000)

-         la questione del banco posta.

 

Tali temi sono tra loro logicamente interconnessi, riguardano l’esistenza e l’azione di un cartello potentissimo, quale è quello bancario, ed è perciò necessario esaminarli nel contesto delle norme e del funzionamento degli organismi legislativi e di controllo.

 

La comunicazione della Commissione del 30 novembre 2000

               

Preliminarmente rileviamo, purtroppo, delle inesattezze nella comunicazione della Commissione esecutiva del 30 novembre 2000 alla Commissione Petizioni, che confidiamo possano essere emendate senza difficoltà. La prima inesattezza concerne l’art. 1283 del codice civile italiano che, viene affermato, regola l’anatocismo in Italia. L’art. 1283 c.c. in realtà vieta l’anatocismo e concede due eccezioni[1], una riguarda gli usi normativi, che la Corte di Cassazione con tre sentenze ha giudicato inesistenti, e l’altra affida al giudice la decisione di concedere gli interessi sugli interessi, su domanda del creditore e solo dopo che gli interessi primitivi siano scaduti da almeno sei mesi. La seconda inesattezza riguarda l’art. 25 del D. lgs 342/99 che viene descritto provvedere «Una speciale regolamentazione per le banche e gli altri intermediari finanziari»: ciò non risponde al vero poiché[2] l’art. 25 si riferisce unicamente alle banche, come è lapalissianamente deducibile dalla lettura del testo della norma.

            La comunicazione della Commissione esecutiva appare dimenticare la propria Decisione n 87/103/CEE del 12 dicembre 1986 ed il Provvedimento n. 12 del 3 dicembre 1994, emanato dalla Banca D’Italia in qualità di Autorità Garante della Concorrenza[3], –per non citare le pronunce della Corte di Cassazione e di vari Tribunali italiani- che da un lato hanno stabilito che l’ABI è un cartello di imprese e dall’altro hanno imposto la cessazione di accordi e pratiche di cartello quali l’anatocismo, mentre l’ABI si impegnava ad ottemperare[4] a tali dispositivi. L’ABI, in sostanza, ha riconosciuto che la pratica anatocistica non scaturiva da usi normativi universalmente riconosciuti ma da una pratica di cartello che si  è impegnata, sulla carta, ad abbandonare. Ciò non è avvenuto mercé l’inazione dell’Organo di vigilanza (leggi Bankitalia). È importante che si chiarisca che questi impegni e, di conseguenza, tali procedure sono stati pura finzione, dal momento che risulta dalle sentenze della Magistratura e dall’esperienza comune e quotidiana che l’ABI non ha mai ottemperato ai suoi obblighi, così come la Banca d’Italia, per sua stessa ammissione, non ha svolto l’attività di vigilanza che è tra i suoi compiti precipui.

                La comunicazione della Commissione esecutiva si conclude “rimuovendo” l’esame del comma 3 dell’art. 25 del decreto in oggetto, con il motivo che esso è stato dichiarato incostituzionale. In realtà l’intento anticoncorrenziale del governo italiano viene provato proprio per aver emanato, nel suo insieme, l’art. 25 del D. lgs 342/99. La violazione degli art. 3 lett. G,  5 e 85 del Trattato CE da parte dell’Italia, nell’approvare il provvedimento in oggetto, è difficilmente negabile.  Con l’art. 25 si sostanziano e si legalizzano gli esiti di un accordo e di pratiche di cartello, sanzionati dall’Autorità Garante Italiana, dalla Corte di Cassazione italiana, ammessi dagli stessi partner del cartello. La Commissione, nella Sua comunicazione, appare non apprezzare che il codice civile italiano contiene norme sulla gestione dei conti correnti che sono costantemente violate  proprio in virtù dell’esistenza di un cartello; tra queste norme è l’art. 1193 del c.c. che sembra essere il principio regolatore della gestione dei conti corrente da parte del sistema bancario nord americano dove l’anatocismo non esiste, non vi sono la commissione sul massimo scoperto e le valute.

            Tornando al comma 3 dell’art. 25, rimuovendone sbrigativamente l’esame, come la Commissione fa nella comunicazione, si rimuove il contesto che ha condotto alla genesi della norma e l’ambito nel quale, tutta intera, doveva operare. La valutazione sul residuo comma 2 ne risente ed il giudizio ne risulta alterato. Occorre rammentare che il D. lgs 342/99 è nato per rimediare al danno inferto al cartello bancario dalle sentenze della Corte di Cassazione del marzo 1999 sull’illiceità dell’anatocismo, come il decreto legge  29 dicembre 2000 n. 393 è nato per rimediare ai danni che avrebbero causato le sentenze della Corte di Cassazione sui  tassi usurari applicati ai mutui a tasso fisso stipulati prima del primo trimestre del 1996. Il D. lgs voleva essere operante per il passato e per il futuro. La Corte Costituzionale gli ha lasciato, per ora, la sola operatività presente e futura.

 

Il comma 2 dell’art. 25 in contrasto con l’art. 85 del Trattato CE e con la direttiva 93/13/CEE

 

            Abbiamo già accennato, nella petizione, ai principi statuiti dall’ordinamento italiano: trasparenza, concorrenza e limite. Mentre questi aspetti sono approfonditi nello studio qui allegato «Trasparenza, concorrenza e soglie usurarie: la tutela dell’utente bancario», qui vale la pena ricordare che il sistema di percezione delle competenze usati dalle banche sui conti corrente con affidamento, deriva dall’applicazione nei contratti stipulati con la clientela delle NBU, Norme Bancarie Uniformi, che sono il frutto di accordi di cartello in vigore dal 1952. Mediante l’imposizione concordata, sistematica ed indefettibile di tali norme, le banche trimestralmente  addebitano le commissioni e le spese per le varie operazioni effettuate nel corso del rapporto di conto corrente, e dilatano gli interessi passivi mediante l’applicazione del gioco delle valute, che consiste nel posticipare le date di accredito dei versamenti e nel retrodatare le date dei prelevamenti. In virtù di accordi interbancari le banche non hanno costi di valuta.  Alle  passività che si sono in tal modo formate, si applicano gli  interessi passivi -ad un tasso riferito all’anno civile- e la commissione sul massimo scoperto.  Al trimestre successivo le passività così costituite vengono capitalizzate. Detto in altre parole, le banche considerano gli interessi (sotto la forma di commissioni, spese, valute, interessi e commissione sul massimo scoperto) come si trattasse di somme da esse prestate; così trasformati gli interessi sono moltiplicati, ancora, dai nuovi interessi e dalla  nuova commissione sul massimo scoperto. Questo schema si attua di trimestre in trimestre, sino alla chiusura del conto. Abbiamo così un sistema nel quale agiscono  due meccanismi moltiplicatori delle competenze: l’anatocismo degli interessi che moltiplica se stesso, le spese, le valute e la commissione sul massimo scoperto; e l’anatocismo della commissione sul massimo scoperto che, a sua volta, moltiplica se stessa, le spese, le valute e gli interessi. Tale sistema è dirompente sotto il profilo dei costi: il debito è tendenzialmente costituito dai soli interessi che riproducono se stessi all’infinito. Non è trasparente poiché l’incidenza sui costi può essere, con operazioni molto complesse, determinata solo a posteriori. È anticoncorrenziale poiché frutto di accordi e pratiche di cartello. Infine, tale sistema è il risultato dell’applicazione di clausole abusive, contenute nei contratti, in violazione con la direttiva 93/13/CEE. Il Tribunale di Roma[5] ha ritenuto le NBU clausole abusive ed ha emesso nel gennaio del 2000 un provvedimento inibitorio. Da quest’ultimo punto di vista, e tenendo a mente il sistema appena descritto, l’art. 25, comma 2 del D. lgs 342/99, seguito dalla delibera del CICR del 9 febbraio 2000,  prescrivendo un pari periodicità di capitalizzazione tra gli interessi attivi e passivi, ha sancito un pesante squilibrio “dei diritti e degli obblighi” a svantaggio del consumatore, sancendo anche l’intrasparenza (art. 4 della Direttiva) del sistema.  Data la forbice retributiva tra gli interessi attivi e passivi, in linea generale, lo svantaggio per l’utente bancario aumenta con l’incremento della frequenza della capitalizzazione: non a caso il cartello bancario ha scelto di mantenere invariata la capitalizzazione trimestrale per gli interessi a carico del cliente, anticipando a tre mesi la retribuzione degli interessi attivi. L’utente ha tratto solo un vantaggio apparente dalla capitalizzazione trimestrale, anziché annuale, degli interessi attivi. L’ultima relazione della Banca d’Italia ha messo in evidenza come la forbice tra gli interessi passivi ed attivi  si sia allargata ulteriormente nell’ultimo periodo[6]. Le stime dell’OCSE, inoltre, classificano i servizi bancari tra i primi sette  prodotti a più alta inflazione (5,9%). L’art. 25 comma 2 è, dal punto di vista del riequilibrio dei diritti del consumatore, ingannevole.

            Lo squilibrio tra i diritti e gli obblighi, dunque, risiede non tanto sull’impari frequenza della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi, ma da ciò che i contraenti moltiplicano.  L’utente bancario, consumatore o professionista, moltiplica con  la capitalizzazione i soli interessi attivi. Il professionista bancario moltiplica  le commissioni, le spese, le valute attraverso il doppio meccanismo anatocistico degli interessi e della commissione sul massimo scoperto che agiscono su se stessi e reciprocamente, oltre che su competenze e valute.

            Concludendo: il comma 2 dell’art. 25 D. lgs 342/99 legalizza gli effetti di un accordo di cartello rendendo leciti gli effetti della clausola n. 77 delle NBU, ritenute dalla Decisione della Commissione 87/103/CEE, dal Provvedimento n. 12 del 3 dicembre 1994 della Banca d’Italia e riconosciute dall’ABI, nell’ambito dei succitati provvedimenti[7], anticoncorrenziali. L’ABI si è più volte impegnata a disattivare gli accordi e dismettere le pratiche anatocistiche ma non ha mai tenuto fede agli impegni, come dimostrano i documenti rinvenuti dal Tribunale di Roma –a conoscenza della Banca d’Italia- e citati dalla sua sentenza del 21 gennaio 2000 e come dimostrano le lettere che le banche indirizzano per rifiutare agli utenti il rimborso delle somme indebitamente pagate sugli interessi anatocistici. La legalizzazione delle conseguenze delle pratiche di cartello disattiva gli effetti, a vantaggio delle sole banche, dell’art. 1193 del c.c., la cui applicazione condurrebbe allo sviluppo di una libera concorrenza che, come avviene negli evoluti mercati nord americani, nel sistema di riscossione delle competenze vedono la percezione dei soli interessi e di minime commissioni, essendo sconosciuti l’anatocismo, la commissione sul massimo scoperto e il gioco delle valute[8]. La norma in esame, per le ragioni esposte, è in contrasto con il combinato disposto degli art. 3 lett. G,  5 e 85 del Trattato CEE.

 

Le NBU bancarie  in contrasto con la legge sull’usura: effetti degli accordi di cartello

 

            La legge sull’usura si è prefissa due compiti. Il primo compito è quello di costringere i prestatori di denaro, o altra utilità, alla trasparenza. Essa ha definito ciò che dobbiamo intendere per “interesse”, con ciò seguendo, e rendendo più rigorosi, i concetti espressi dalla Direttiva 87/102/CEE,  estendendone il campo d’applicazione limitato, dalla Direttiva citata, al solo credito al consumo. Il secondo compito è quello di stabilire il limite, invalicabile ed oggettivamente determinabile, nella richiesta degli interessi. A tal fine ha affidato alla Banca d’Italia e all’UIC il compito di rilevare ed al Ministero del tesoro il compito di pubblicare i tassi medi che, aumentati della metà, trimestralmente stabiliscono il tasso soglia[9]. Gli effetti di mancanza di regolamentazione del credito in mercati competitivi ma concentrati possiamo rilevarli in studi significativi sugli incrementi drammatici delle “bancarotte” dei consumatori in Nord America, a seguito della selvaggia diffusione dei crediti concessi dalle carte di credito e gli alti interessi praticati[10].

            È necessario chiarire che il TEGM, tasso effettivo globale medio, pubblicato trimestralmente non è un tasso calmieratore imposto da un’Autorità esterna, bensì la media aritmetica dei tassi applicati dalle banche per classi di operazioni similari, corretto in ragione delle variazioni del tasso ufficiale di riferimento. In un regime di concorrenza questa misura rappresenterebbe il reale tasso di mercato, in un regime di cartello, invece, tale tasso esprime la media del tasso di cartello. Il tasso usurario, in definitiva, è fissato dalle banche.

            Secondo le sentenze del  1999 della Corte di Cassazione, che ha confermato alcuni giudizi di tribunali di merito, l’anatocismo è un sistema potenzialmente usurario. Secondo le nostre rilevazioni, operate sui conti corrente di alcuni utenti bancari, il quadro è gravissimo ed il meccanismo del doppio anatocismo e delle valute sistematicamente applicato porta a superare le soglie usurarie in brevissimo tempo. Abbiamo sinora esaminato una ventina di casi di utenti di varie banche. È un numero piccolo ma i risultati sono stati costanti e dirompenti. Contiamo di incrementare la casistica nel prossimo futuro esaminando i molti casi pervenutici con la sensibilizzazione avvenuta, su questi temi, in seguito al clamore suscitato dalle sentenze della Cassazione.

            Il reato di usura è grave ed esso si collega, potenzialmente, ad un altro pesante reato previsto dall’art. 648 ter del nostro codice penale che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni colui che impiega in attività economiche o finanziarie denaro derivante da delitto.

            Concludendo, l’art. 25 comma 2 del D. lgs  342/99 oltre a legalizzare una pratica concordata, sanzionata dalla Decisione 87/103/CEE, dal Provvedimento n. 12 del 3 dicembre 1994 della Banca d’Italia, dalle tre sentenze della Corte di Cassazione sull’anatocismo del 1999 e dalla sentenza del 21 gennaio 2000 del Tribunale di Roma sulle clausole abusive (NBU) contenute nei contratti bancari, si pone in palese contrasto con la legge n. 108/96.

 

La legge sull’usura norma imperativa non retroattiva

 

            Proseguendo nell’esame del panorama legislativo, che costituisce il contesto da tenere in considerazione per giudicare le norme e le condotte che chiediamo siano censurate, è necessario rilevare che la legge n. 108/96, contenente le disposizioni sull’usura, è una legge imperativa che non ha un effetto retroattivo. Questi concetti sono stati espressi nelle sentenze 14899/2000, 5286/2000, 1126/2000, 11055/98 della Corte di Cassazione la quale ha stabilito che la legge opera dal momento della sua entrata in vigore, anche sui contratti di durata in corso. L’ABI, che con una raccomandazione agli associati del 1997 aveva deciso di non rispettare il disposto legislativo per i contratti di mutuo a tasso fisso, già in corso al momento dell’entrata in vigore della legge n. 108/96, ha indebitamente e pretestuosamente sostenuto che l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte di Cassazione, invece, dava alla legge un effetto retroattivo, ottenendo l’intervento d’urgenza del governo che ha emanato il d.l. n. 393/2000.

            L’intervento governativo, anche questa volta, si basa su un falso presupposto. Sostenere che una legge imperativa non debba e non possa agire sui contratti in corso perché, in tal modo, diverrebbe retroattiva è come dire che la Direttiva 93/13/CEE o gli art. 85 e 86 del Trattato CEE non si applicano alle clausole abusive e alle intese o  accordi tra imprese stipulati prima della loro entrata in vigore. In realtà anche in questo caso il governo italiano ha voluto intervenire, esplicitamente stavolta, per legalizzare gli effetti di un accordo di cartello.

 

La condotta dell’Organo di Vigilanza: La Banca d’Italia

 

            Aggiungendo un altro scorcio al panorama del contesto nel quale inserire le questioni in discussione, è inevitabile riportare il giudizio di uno dei padri della legge anti trust italiana. Per il Professor Guido Rossi è stato un errore aver affidato alla Banca d’Italia il ruolo di Autorità Garante della Concorrenza, limitatamente al settore creditizio, stante il suo conflitto d’interesse[11]. I fatti sembrano dargli ragione. Dalla documentazione allegata si evince:

 

-       L’inefficacia del Provvedimento n. 12 del 3 dicembre 1994 deriva dall’inazione della Banca d’Italia , che non appare inconsapevole alla luce della documentazione citata nella sentenza del Tribunale di Roma del 21 gennaio 2000 quando si esamina la clausola n. 77 delle NBU.

 

-       Nella lettera indirizzata ad un CTU (consulente giudiziario), in data 14 giugno 2000, e a noi il 6 ottobre 2000, a proposito della determinazione del TEG ai sensi della legge sull’usura n. 108/96 la Banca d’Italia, contraddice, matematicamente, il contenuto delle sue istruzioni relativamente agli elementi da considerare o da escludere nella formula per il calcolo del TEG[12].

 

-       Nella lettera del 6 ottobre 2000, la Banca d’Italia, in tema di rispetto della legge n. 108/96 così si esprime: «Per quanto riguarda i rilievi sulla legittimità dei comportamenti delle banche, si precisa che ogni valutazione in proposito è rimessa all’autorità giudiziaria (il corsivo è nostro, N.d.A.)», questa dichiarazione mal si concilia con i suoi doveri di vigilanza.

 

-        Nella lettera  al Ministro del Tesoro del 14 dicembre 2000, nella nota metodologica allegata, parlando dei prestiti rinegoziati, il Governatore così si esprime: «Prestiti (…) rinegoziati dalle banche a tassi presumibilmente inferiori al tasso soglia (il corsivo è nostro, N.d.A.)», con ciò ammettendo di non aver esercitato alcun controllo sui tassi per queste fattispecie di prestiti.

 

-       Sempre nella lettera del Governatore al Ministro del Tesoro del 14 dicembre 2000, sugli effetti «dirompenti» che avrebbe l’applicazione dell’art. 1825 del c.c. così come prospettata dalla Cassazione, leggiamo:  «Dai calcoli così effettuati emerge che gli oneri complessivi per il sistema bancario corrispondono a 15.000 miliardi nell'ipotesi di riduzione del tasso di interesse a quello soglia e a 52.600 miliardi se gli interessi dovessero essere ridotti fino al loro annullamento». E nella nota metodologia, a proposito del modo con il quale si è giunti a stimare quelle grandezze leggiamo: «In particolare, sono stati presi in considerazione i crediti, non agevolati, a tasso fisso e con durata superiore a 18 mesi, in essere nel periodo compreso tra la fine del 1996 e la fine del 1999; essi sono stati decurtati della quota stimata dei prestiti già rinegoziati dalle banche, a tassi presumibilmente inferiori al tasso soglia. L’ammontare dei crediti così determinato è di 97.400, 102.900, 100.500 e 112.400 miliardi di lire, alla fine di ciascuno degli anni indicati». Queste ultime cifre appaiono incongruenti e poco  verosimili. Il quesito rivolto alla Banca d’Italia dal Ministro del Tesoro verteva sulla consistenza dei mutui fondiari a tasso fisso in essere prima del 31 dicembre 1996, data di entrata in vigore delle prime soglie usurarie stabilite dalla legge n. 108/96. Secondo le cifre presentate con la Relazione Annuale del Governatore del maggio 2000, abbiamo il seguente schema:

-       consistenze dei mutui fondiari al  III trimestre 1996: £ 149.216 miliardi 

-   consistenze dei mutui fondiari al  IV trimestre 1996: £ 162.302 miliardi

                                                                       differenza: £   13.086 miliardi

Tale differenza rappresenta l’ammontare dei mutui sicuramente stipulati durante il IV   trimestre 1996.                 

-      consistenze dei mutui fondiari al IV  trimestre 1999: £ 196.745 miliardi

sottraendo  £   13.086 miliardi

                                                                                         abbiamo     £ 183.659 miliardi

Nonostante i mutui rinegoziati, i mutui estinti  dal IV trimestre 1996  alla fine del 1999 abbiamo che la consistenza dei mutui a tasso fisso è il 57% del totale, non considerando i mutui nuovi sicuramente accesi alla fine del 1996 e del 61% considerando i nuovi mutui. È Possibile che così pochi mutui siano stati estinti nel periodo 1996 – 1999, e altrettanto pochi ne siano stati accesi nello stesso periodo?

Un’altra incongruenza deriva dall’osservazione che i tassi medi sono la media aritmetica dei tassi praticati dalle banche su ciascun singolo finanziamento, corretta in ragione dell’andamento del TUS. Ebbene, risulta ben strano un andamento dei TEGM (tassi effettivi globali medi), che alla fine del 1999 tocca il minimo del 4,9% in presenza di una consistenza del 57% data dai mutui a tasso fisso pre- 1996. A ciò occorre aggiungere la riflessione che, data l’inflazione, il numero dei mutui a tasso fisso pre- fine 1996 è più alto dei successivi, mentre le consistenze seguono un andamento inverso. L’influenza di questo dato sull’andamento dei TEGM, risulta ancora più rafforzata, per cui ci attenderemmo TEGM più elevati. I dubbi sulle cifre fornite dalla Banca d’Italia al Tesoro, in tal modo,  ci aumentano. I dati a nostra disposizione non ci permettono analisi più approfondite ed appropriate. Ci riserviamo, comunque, di  produrre dati più dettagliati.

 

Gli effetti delle pratiche concordate sugli scambi intracomunitari

 

La Decisione della Commissione n. 87/103/CEE e la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee del 21 gennaio 1999, cause riunite C-215/96 e C-216/96, si determinavano a considerare gli effetti del cartello bancario italiano non significativi per gli scambi intracomunitari. Rimandiamo la disamina, e la confutazione puntuale di tale assunto allo studio «Trasparenza, concorrenza e soglie usurarie: la tutela dell’utente bancario» che qui si allega e che si considera parte integrante di questo documento. Le sentenze della Corte di Cassazione del 2000 sui mutui a tasso fisso ha fatto dichiarare all’ABI, all’AIBE, ed alla Banca d’Italia che essa avrebbe avuto un riflesso sulle banche estere e, quindi, sugli scambi intracomunitari. Così si esprime il Governatore nella lettera al Ministro del tesoro del 14 dicembre 2000: «Le incertezze giuridiche e tecniche sopra descritte tendono ad accrescere le uscite di capitali, nonché a ridurre la presenza e l'operatività delle banche estere in Italia diminuendo la concorrenza». Abbiamo già detto della legge  108/96, norma imperativa, che non si presta ad equivoci ed incertezze. Per stessa ammissione degli interessati, cade la presunzione di ininfluenza degli accordi di cartello sugli scambi intracomunitari. La compartimentazione del  mercato italiano, d’altronde sarebbe impensabile nell’era della moneta unica europea, né si potrebbe consentire la massimizzazione dei profitti delle aziende operanti in Italia in regime di cartello, per renderle in tal modo più competitive negli altri mercati comunitari.

 

Il cartello bancario ed il caso dei mutui divenuti usurai

 

 

                Abbiamo accennato al significato ed alla funzione della legge n. 108/96, norma imperativa non retroattiva. Esaminiamo la circolare del 20 marzo 1997, prot. n. LG 002047, avente pienamente effetto di raccomandazione agli associati.  Essa recita al punto 1: «Circa la sorte dei rapporti antecedenti, va detto (…) che essi non dovrebbero essere interessati dalla normativa di imminente pubblicazione qualora si tratti di operazioni regolate a tasso fisso ovvero a tasso indicizzato in base a parametri oggettivi prestabiliti (…). Tali operazioni, pertanto, ai fini del rispetto delle soglie di legge, non comportano l’obbligo di alcun intervento di adeguamento, anche se i relativi tassi effettivi globali dovessero risultare superiori alle soglie stesse. Viceversa, nel caso di operazioni regolate a tasso variabile di iniziativa dell’intermediario, sarà necessario verificare se le eventuali variazioni da apportare risultino entro i limiti massimi stabiliti dalla legge. Tale fattispecie, infatti, pur innestandosi su un rapporto antecedentemente acceso, si atteggia nella sostanza quale nuovo rapporto per quanto attiene alla modifica del precedente trattamento economico, onde essa va valutata allo stesso modo dei rapporti accesi nel periodo di riferimento della rilevazione dei tassi medi (il corsivo è nostro, N.d.A.)».  La circolare si conclude: «Volendo riepilogare quanto sopra illustrato, si sottolinea che gli adempimenti necessari in relazione all’entrata a regime dell’emananda normativa sono i seguenti: (…) – per i contratti in essere (stipulati cioè anteriormente all’entrata in vigore della normativa): a) va verificato che, nel caso di rapporti regolati a tasso d’iniziativa dell’intermediario, le variazioni da apportare durante la vigenza della rilevazione trimestrale dei tassi globali medi siano inferiori ai limiti massimi di legge…». Per i contratti in essere all’entrata in vigore della legge n. 108/96, alla lettera “a” termina l’elenco degli adempimenti. L’indicazione, o meglio, la raccomandazione che ne scaturisce, è quella di non adeguare i tassi dei mutui a tasso fisso stipulati in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 108/96.

Rammentiamo come il Tribunale di Roma nella pronuncia del 17 gennaio 2000 –che sanziona con una sentenza di inibitoria alcune Norme Bancarie Uniformi perché clausole contrattuali ritenute abusive- abbia considerato: che «...Le raccomandazioni rivolte alle imprese associate producono effetti sul mercato e, quindi, direttamente nei confronti dei consumatori (…) l’ABI (…) ha promosso un protocollo d’intesa con alcune associazioni di consumatori e cioè negoziazioni collettive per conto e nell’interesse delle imprese bancarie, il che dimostra che trattasi di schemi negoziali destinati ad essere recepiti dalle imprese associate nella propria attività negoziale per i consumatori e gli utenti». Ricordiamo l’affermazione, già precedentemente illustrata, della Commissione contenuta nella Decisione 87/103/CE del 1986: «Le banche estere con sede in Italia se desiderano beneficiare dei servizi offerti dall’ABI debbono aderirvi. In quanto membri esse firmano gli accordi non appena la loro attività si estende ai settori disciplinati dagli accordi». Da queste premesse, e dai provvedimenti emanati dalla Commissione, dalla Banca d’Italia, dalle sentenze della Suprema Corte di Cassazione e, infine, dal Tribunale di Roma si definisce il senso e la qualità della circolare ABI illustrata all’inizio di questo capitolo. L’indicazione ivi contenuta, nel contesto delle premesse, circa la condotta da tenere nel caso dei mutui a tasso fisso stipulati prima del 7 marzo 1996, data d’entrata in vigore della legge n.108/96, è da ritenersi una raccomandazione a tutti gli effetti, rivolta agli associati, affinché si uniformino senza defezioni alla linea prestabilita dal cartello delle imprese. Detta linea ha un preciso riflesso sui prezzi e le condizioni da applicare alla clientela e si traduce nella prescrizione di non ridurre i tassi d’interesse applicati all’utenza  anche in concomitanza di un superamento dei tassi soglia. Ciò che appare in contrasto sia con l’art. 85 del Trattato CEE, sia con la legge n. 287/90, essendo l’espressione di un’intesa anticoncorrenziale. L’intervento del Governatore in una conferenza tenuta a Veroli[13] il 29 dicembre 2000 è così riportato: «Il decreto mutui era assolutamente indispensabile. Ma forse tutto questo non sarebbe accaduto se il sistema bancario si fosse mosso prima», che è proprio riconoscere  gli effetti di un accordo di cartello. In Italia, invece, le banche chiudono le obbligazioni emesse  a tasso fisso quando queste  divengono troppo onerose, per riemetterle a tasso più basso[14].

            Il paragone con mercati concorrenziali, come i mercati nord americani[15] ci evidenzia come il problema della rinegoziazione dei mutui  -che è il vero, cruciale punto di disputa tra gli utenti ed il cartello bancario-  in quei Paesi non esista. Il consumatore in America e Canada può rinegoziare i mutui a proprio vantaggio in qualsiasi momento, le penali sono sopportabilissime e riguardano il rimborso del mancato guadagno, in interesse, di un anno civile. I piani di ammortamento dei mutui non prevedono  anni di preammortamento degli interessi, durante i quali l’utente versa le sue quote che non rimborsano una lira di capitale. Le quote di finanziamento erogate per l’acquisto degli immobili possono giungere sino al 95% del suo valore. Insomma non esiste quello squilibrio nelle prestazioni e negli  obblighi sanzionati dalla direttiva 93/16/CEE.

            Concludendo: In presenza di clausole che rendono economicamente  impraticabile la rinegoziazione dei mutui, all’entrata in vigore dei tassi soglia le banche dovevano adeguare i tassi praticati alla clientela ai tassi soglia pubblicati trimestralmente dal Ministero del tesoro. Attraverso un accordo di cartello hanno concordato di  non rispettare la legge 108/96, incorrendo nelle sanzioni civilistiche previste dall’art. 1815 c.c.

 

Il decreto legge 29 dicembre 2000 n. 393, legalizzazione di un accordo di cartello

 

            Abbiamo visto che l’atteggiamento del cartello bancario italiano, in seguito all’entrata in vigore della legge n. 108/96, è stato quello di non eseguirne l’applicazione. Al panorama descritto aggiungiamo che il governo ha emanato il decreto 24 marzo 2000, n. 110 per la rinegoziazione, ad un tasso pari al tasso medio (TEGM), dei mutui agevolati a tasso fisso superiore al tasso soglia, stipulati prima della l. 108/96. Occorre, infatti, chiarire che a soffrire della rigidità delle banche non sono solo gli utenti ma anche l’erario, sia quando rimborsa alle banche parte degli interessi sui mutui agevolati, sia quando, come debitore, paga interessi usurari attraverso i vari enti pubblici che hanno sottoscritto mutui a tasso fisso.

            Con l’adozione, per motivi di urgenza, del d.l. 29 dicembre 2000 n. 393 abbiamo il primo caso a memoria d’uomo, nella nostra democrazia, che un cartello che abbia promosso l’intesa e assunto la deliberazione di non rispettare una legge imperativa -quale è la l. 108/96- chiamato a risponderne da chi, la Magistratura, la legge è tenuta ad applicare, chieda ed ottenga la modifica della legge violata. È questo un caso talmente grave di alterazione della genesi democratica delle leggi da fare di codesto caso, un caso che travalica i confini nazionali. Ciò detto,  il d.l. 29 dicembre 2000 n. 393, similmente al D. lgs 342/99, è in contrasto con l’art. 85 del Trattato CE, legalizzando gli effetti di un accordo di cartello. Mercé questa norma, le banche non dovranno subire gli effetti della sanzione prevista dall’art. 1825 c.c., dovranno  semplicemente adeguare ad un tasso più elevato del tasso soglia, gli interessi solo a partire dall’anno in corso. Inoltre, fatto più grave, attraverso “l’interpretazione autentica” della l. 108/96 è abolito l’obbligo, da parte delle banche, di rispettare nel corso del tempo, quel limite che, come abbiamo visto, costituisce l’unico fattore riequilibratore dei diritti degli utenti nei rapporti con la controparte bancaria.

           

Il caso Banco posta

 

            Le Poste italiane offrono alla clientela un servizio di conto corrente molto vantaggioso, con spese molto contenute, mille lire per ogni operazione fino a 60 operazioni, oltre sono gratuite. Il costo massimo annuo, dunque, è di £ 60.000, a fronte del costo di un conto corente bancario che è non è inferiore alle £ 500-700.000 Lo sviluppo di tale servizio trova ostacolo nell’atteggiamento dell’ABI. Infatti  agli utenti, tra l’altro, non è consentito di effettuare bonifici a banche, ricevere bonifici da banche effettuare  bonifici all’estero, ricevere bonifici dall’estero, versare assegno bancari sul proprio conto corrente Banco posta, ecc. La documentazione allegata è esauriente. Ci permettiamo di segnalare qui un documento che sembra proseguire l’affermazione, già citata, contenuta nella Decisione 87/103/CEE sulla natura di cartello dell’ABI, è il comunicato stampa di quest’ultima associazione del 6 ottobre 2000: «Le Poste chiedono di cambiare un Accordo che hanno sì sottoscritto ma mai completamente rispettato». La Commissione scriveva: «Le banche estere con sede in Italia se desiderano beneficiare dei servizi offerti dall’ABI debbono aderirvi. In quanto membri esse firmano gli accordi non appena la loro attività si estende ai settori disciplinati dagli accordi». Il risultato, a nostro giudizio, è un abuso di posizione dominante da parte dell’ABI. La definizione di mercato la troviamo nel Provvedimento n. 12 del 3 dicembre 1994 della Banca d’Italia, l’abuso ha effetto sugli scambi intracomunitari, dal momento che è provato colpire le rimesse da e per l’estero, gli effetti (il funzionamento del mercato se l’intesa di cartello non esistesse) sono documentati ed evidenti, come evidente è l’infrazione dell’art. 86 del Trattato CEE.

 

Per tutti i motivi suesposti, chiediamo l’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia per l’adozione dell’art. 25 comma 2 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 e per l’adozione del   decreto legge 29 dicembre 2000 n. 393. La Commissione esecutiva si è mostrata particolarmente sollecita nell’agire contro l’Italia nel caso del recente decreto sulle assicurazioni, emanato dopo che l’Antitrust italiano aveva scoperto e sanzionato un accordo di cartello delle imprese assicuratrici. Quel decreto si poneva come scopo la tutela, seppur debole, dei consumatori. Non abbiamo dubbi che la Commissione agirà con rigore adeguato anche in questo caso. Alla Commissione ed agli altri organi competenti chiediamo che vengano a cessare gli abusi di posizione dominante segnalati. Ancor più pressantemente, vista l’influenza sui meccanismo di genesi democratica delle leggi, chiediamo che venga imposta la cessazione di pratiche ed accordi di cartello e lo smantellamento del cartello bancario italiano da conseguire mediante scorporo dell’ABI.

 

Con i più deferenti saluti

 

 

 

Pescara,   8 gennaio 2001                  

 

 

 

                                                                                                                  

           Il Responsabile regionale

    componente del Direttivo Nazionale

 Gianni Colangelo

                                                                                                           Lungomare Matteotti 63

                                                                                                                                                  65122 PESCARA

 

 

 

 



[1] Cfr. il testo al gruppo allegati  n. 1: «Disposizioni legislative».

[2] Cfr. il testo dell’art. 120 come modificato dall’art. 25 del D. lgs 342/99 al gruppo allegati  n. 1: «Disposizioni legislative».

[3] Cfr. il testo al gruppo allegati  n. 3: «Provvedimenti delle Autorità Antitrust».

[4] Cfr. punto 23 p. 7 del Provvedimento Bankitalia.

[5] Cfr. Sentenza del Tribunale di Roma al gruppo allegati  n. 3: «Giurisprudenza civile». La sentenza, fatto significativo, è stata emessa dopo l’entrata in vigore del D. lgs 342/99, segno del  contrasto di quest’ultimo con la direttiva 93/13/CEE, a cui è stata riconosciuta la prevalenza.

[6] Cfr. il gruppo allegati  n. 4: «Effetti della Cartellizzazione del sistema bancario in Italia».

[7] Cfr. il gruppo allegati  n. 3: «Provvedimenti delle Autorità Antitrust».

[8] Cfr. gruppo allegati  n. 7: «Meccanismi bancari in America».

[9] In Francia il limite viene calcolato aumentando il tasso medio del 33%.

[10] Cfr. gruppo allegati  n. 7: «Meccanismi bancari in America».

 

[11] Cfr. La Repubblica 4 agosto 1999 al gruppo allegati  n. 5: «Banca d’Italia, conflitto d’interesse».

[12] Cfr. gruppo allegati  n. 5: «Banca d’Italia, normativa; corrispondenza».

 

[13] Cfr. il Sole 24 Ore del 30 dicembre 2000 riportate al gruppo allegati  n. 5: «Banca d’Italia».

[14] Cfr. Gruppo allegati n. 8 «Squilibrio negli obblighi e nelle prestazioni fra professionisti dell’intermediazione creditizia e consumatori».

[15] Cfr. gruppo allegati  n. 7: «Meccanismi bancari in America».